Confindustria Lombardia: "Politica economica inefficace non in grado di stabilire fiducia"

Presentata l'analisi trimestrale in Unioncamere: "Per le regioni virtuose come la Lombardia ci vuole l’Autonomia".

Confindustria Lombardia: "Politica economica inefficace non in grado di stabilire fiducia"
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Presentata l’analisi trimestrale “L’andamento economico in Lombardia – 2° trimestre 2019” in Unioncamere Lombardia.

Il commento a caldo stronca il Governo

Partiamo dalla fine, ovvero dalla nota ufficiale di Confindustria Lombardia:

“Secondo dati relativi al 2° trimestre presentati oggi preoccupano ma non sorprendono: è ormai da un anno che gli industriali lanciano allarmi, spesso inascoltati, sul rallentamento della produzione e sul clima di sfiducia che avvolge l’impresa lombarda e italiana. Come emerso nel corso della presentazione dell’analisi trimestrale in Unioncamere Lombardia, è innegabile che il rallentamento sia in gran parte dovuto alla forte dipendenza del modello lombardo dall’export – certificato dal calo al 38,7% della quota di fatturato estero sul totale. La dipendenza dalla volatilità internazionale, l’incertezza generata dalla guerra dei dazi che al momento sta penalizzando l’Europa (in particolare la Germania con cui il nostro manifatturiero è strettamente interdipendente) e il rallentamento del settore automotive avrebbero dovuto spingerci già da tempo a attuare politiche espansive per stimolare la domanda interna ed aumentare la competitività delle nostre industrie, anziché mettere una tassa sulle auto prodotte in Italia. Va promosso un grande piano per li rilancio competitivo dell’automotive. Inoltre sono necessari: taglio del cuneo fiscale, investimenti in infrastrutture, eliminazione delle zavorre burocratiche che frenano la competitività.

Invece, mentre il manifatturiero va sempre peggio – come dichiarato anche dal Presidente della BCE Draghi – e con il rischio di una recessione del settore sempre più concreta, a livello nazionale scontiamo le carenze di una politica economica inefficace non in grado di dare risposte alle imprese e di stabilire fiducia. Si è preferito rimandare le misure di sostegno allo sviluppo perdendo tempo prezioso e si sono introdotti provvedimenti di tipo assistenziale che creano debito, mentre mancano le misure per il rilancio della crescita. Tali scelte hanno avuto forti ripercussioni sugli investimenti e sulla fiducia: si sta fermando il motore della nostra economia, il settore industriale, e a Roma stanno a guardare. Gli imprenditori sono preoccupati perché non vedono nell’azione del Governo un progetto per la competitività. Sta prevalendo la logica del non fare che blocca il Paese e che costa moltissimo: basta guardare i casi delle infrastrutture e della normativa sull’end of waste. Due esempi emblematici sui quali si sta perdendo tempo, mentre le imprese vogliono un’azione decisa e concreta.

Fortunatamente le imprese lombarde possono contare su un sistema pubblico-privato che le sostiene e lavora in sinergia. Tutto ciò però non basta: per le regioni virtuose come la Lombardia ci vuole l’Autonomia, per attuare il processo di semplificazione ed aumentare la competitività dei territori. Gli imprenditori lombardi vogliono che questo processo vada avanti, per arrivare ad un risultato realmente positivo, senza compromessi al ribasso”.

L’analisi congiunturale nel dettaglio

La produzione lombarda, in sintonia con il peggiorato clima economico internazionale, presenta una svolta negativa del dato congiunturale (-1,2%) per l’industria, mentre per l’artigianato il risultato rimane positivo seppur contenuto (+0,2%). Anche il dato tendenziale presenta lo stesso schema, negativo per l’industria (-0,9%) e leggermente positivo per l’artigianato (+0,3%).

Peggiorano le aspettative sulla domanda sia estera che interna. In miglioramento, invece, le aspettative degli imprenditori industriali per la produzione, dopo ben quattro trimestri in peggioramento continuo. Quadro peggiore per l’artigianato, con saldi negativi per le aspettative di tutti gli indicatori.

Il focus di approfondimento sulle filiere e relazioni tra imprese rileva una scarsa propensione delle imprese lombarde ad attivare forme di aggregazione e partnership. L’analisi realizzata su clienti e fornitori evidenzia le differenze tra imprese industriali e artigiane, con le prime che sono in relazione con imprese di maggiori dimensioni, raggiungono mercati più distanti (spesso anche esteri), e sono inserite in supply chain più lunghe.

I dati presentati derivano dall’indagine relativa al secondo trimestre 2019 che ha riguardato un campione di più di 2.600 aziende manifatturiere, suddivise in imprese industriali (più di 1.500 imprese) e artigiane (più di 1.100 imprese).

Nel secondo trimestre 2019 si registra una variazione congiunturale negativa della produzione industriale (-1,2% destagionalizzato). La variazione tendenziale, anch’essa negativa (-0,9%) è la prima registrata dal 2013.

Il dato congiunturale delle aziende artigiane manifatturiere rimane positivo (+0,2%) come anche il dato tendenziale (+0,3%), ma l’intensità delle variazioni è minima.

L’indice della produzione industriale, scende a quota 110,4 (dato destagionalizzato, base anno 2010=100) allontanandosi dal massimo pre-crisi (pari a 113,3 registrato nel 2007).

Per le aziende artigiane l’indice della produzione sale a quota 98,2 (dato destagionalizzato, base anno 2010=100), ancora sotto quota 100.

Da un punto di vista settoriale cresce il numero dei settori che registrano cali dei livelli produttivi (7 settori su 13). L’abbigliamento (-9,7%) registra la contrazione maggiore, seguito da: pelli-calzature (-2,7%); meccanica (-1,6%); tessile (-1,3%); mezzi di trasporto (-1,2%); carta-stampa (-0,9%); manifatturiere varie (-0,8%). In crescita significativa rimangono i settori del legno-mobilio (+1,7%), degli alimentari (+1,7%), della siderurgia (+1,0%) e della chimica (+0,5%). I settori della gomma-plastica e dei minerali non metalliferi registrano una variazione positiva ma molto prossima allo zero (+0,1% entrambi).

Anche per l’artigianato, l’analisi settoriale evidenzia una maggior numero di settori in contrazione rispetto a quelli in crescita (6 settori su 11) ma con intensità delle variazioni più contenuta così che, in media, la crescita riesce a prevalere. La contrazione maggiore si registra per il settore pelli-calzature (-2,4%), seguito da: siderurgia (-2,2%), carta-stampa (-1,1%), abbigliamento (-0,9%), tessile (-0,4%), meccanica (-0,2%). Trainano i settori in crescita di questo trimestre i minerali non metalliferi (+5,8%) seguiti da legno-mobilio (+2,9%), alimentari (+0,7%) e gomma plastica (+0,3%). Le manifatturiere varie non registrano variazioni in questo trimestre.

Il dato medio generale nasconde andamenti differenziati fra le imprese: scende al 40% per l’industria la quota di aziende in crescita, in ulteriore diminuzione rispetto ai trimestri precedenti e anche quelle stazionarie (17%), mentre aumentano quelle in contrazione (43%).

Nell’artigianato si registra un andamento differente. Ad aumentare sono sia la quota di aziende in crescita, che arriva al 41%, sia la quota delle aziende in contrazione che salgono al 37%, entrambe a discapito delle aziende stazionarie che scendono al 22%.

Il fatturato a prezzi correnti per l’industria cresce ancora su base annua, in linea con il risultato dello scorso trimestre (+1,8%) e torna positiva anche la variazione rispetto al trimestre precedente (+1,0%), dopo il dato negativo di inizio anno.

Per le imprese artigiane i risultati sono simili con un incremento del fatturato dello 0,8% tendenziale e dello 0,5% congiunturale.

Gli ordinativi esteri dell’industria confermano le difficoltà già segnalate lo scorso trimestre con una contrazione congiunturale dello 0,5% e un dato tendenziale che si approssima alla variazione nulla (+0,3%), ben lontano dai tassi di crescita del 2018 (+4,9% la media annua).

Gli ordini interni, viceversa, registrano una variazione tendenziale quasi nulla (-0,1%) con il dato congiunturale che svolta in positivo (+0,4%).

Il comparto artigiano rileva dati più negativi per gli ordini interni in contrazione sia su base annua (-1,2%) sia rispetto al trimestre precedente (-0,3%). Crescono, invece, gli ordini esteri (+7,5% tendenziale e +3,3% congiunturale) ma la quota del fatturato estero sul totale rimane poco rilevante (8% del fatturato totale).

L’occupazione per l’industria presenta un saldo positivo (+0,3%), grazie a un tasso d’ingresso che sale al 2,2%, contrastando la crescita del tasso d’uscita (1,7%).

Considerando la variazione congiunturale al netto degli effetti stagionali la variazione è nulla. In aumento il ricorso alla CIG, con una quota di aziende che dichiara di aver utilizzato ore di cassa integrazione al 6,8% e la quota sul monte ore allo 0,8%.

Anche nell’artigianato il saldo occupazionale è positivo (+0,7%) ma, in questo caso, per via della riduzione del tasso d’ingresso al 2,8% non contrastata dal tasso d’uscita che rimane stabile al 2,1%. Considerando la variazione congiunturale al netto degli effetti stagionali, il risultato rimarca la stabilità dei livelli con una variazione leggermente positiva (+0,4%) in linea con lo scorso trimestre. In calo il ricorso alla CIG con una quota di
aziende che dichiara di aver utilizzato ore di cassa integrazione al 2,6% e la quota sul monte ore allo 0,5%.

Le aspettative degli imprenditori industriali sulla produzione, dopo il peggioramento continuo degli ultimi quattro trimestri, tornano positive. In flessione le aspettative sull’occupazione che tornano nel quadrante negativo dopo 10 trimestri. Peggiorano anche le aspettative per la domanda, con quella interna che torna ad addentrarsi in territorio negativo e quella estera che presenta un saldo nullo tra aspettative di crescita e contrazione.

Nel caso dell’artigianato le aspettative sono più pessimistiche, con saldi tra previsioni di crescita e diminuzione negativi per quasi tutte le variabili. Solo le aspettative sulla produzione migliorano leggermente ma rimanendo in territorio negativo con le aspettative di contrazione dei livelli produttivi che prevalgono ancora.

Conclusioni

In conclusione, compatibilmente con il rallentamento del commercio internazionale che va a colpire soprattutto il settore manifatturiero e quindi le economie che su questo settore si sono giocate le carte maggiori (vedi Germania), la produzione manifatturiera lombarda ha mostrato nel secondo trimestre del 2019 un calo congiunturale dell’1,2%. Ad essere colpite maggiormente sono le imprese di piccola dimensione. Infatti, le grandi imprese hanno mostrato una variazione nulla. Tuttavia, le imprese artigiane crescono dello 0,2%, nonostante le piccole imprese industriali diminuiscano dell’1,6%. Questo apparente paradosso potrebbe essere spiegato dalla differente localizzazione della clientela, più a carattere locale per le imprese artigiane mentre le piccole imprese industriali raggiungono anche i mercati esteri ed europei in particolare.

Una zona-euro basata sul traino dell’export tedesco che, attraverso le catene dell’offerta, ha un impatto particolare sulle vicende lombarde, viene a trovarsi di fronte ad una nuova sfida che sarà tanto più ardua quanto più le vicende internazionali si allontaneranno dalle forme con cui si sono manifestate nell’ultimo decennio. Il focus di approfondimento di questo trimestre è dedicato alle filiere e relazioni tra imprese e mira a fornire alcune informazioni utili per cogliere quanto siano diffuse le relazioni interaziendali e aggregative tra le imprese lombarde, quali siano le loro
caratteristiche, come le imprese valutino i vantaggi che derivano dall’appartenere a reti di impresa nelle sue diverse forme e quanto siano estese le interdipendenze delle imprese con clienti e fornitori.

Le imprese industriali sono le più propense a qualche forma di aggregazione (5,3%) e, in particolare, lo sono le imprese di più grande dimensione (9%). Le imprese artigiane presentano quote minori (2,3% in media), da un minimo di solo l’1,7% delle micro-imprese al massimo del 3% per la classe 6-9 addetti.

Delle imprese che dichiarano di appartenere ad una qualche forma aggregativa, quasi il 50% afferma che questa aggregazione è formalizzata, con poca differenza osservando il dato separatamente per imprese industriali e imprese artigiane. Le imprese industriali ritengono mediamente più vantaggioso l’appartenere a una qualche forma di aggregazione rispetto alle imprese artigiane. Nel comparto industriale sono valutati più positivamente i vantaggi legati alla formazione e sviluppo di competenze, l’accesso nuovi mercati e l’introduzione di nuove tecnologie e co-innovazione. Per l’artigianato, le valutazioni sono, in generale, più basse; gli aspetti valutati più positivamente sono quelli legati agli aspetti economici e di mercato (accesso ai nuovi mercati e la riduzione dei costi) e alla formazione e sviluppo delle competenze.

Industria e artigianato mostrano una distribuzione differente della clientela principale, con un raggio molto più ampio per le imprese industriali che raggiungono più spesso, oltre che le altre regioni italiane, anche i Paesi UE e il resto del mondo. Le imprese artigiane, invece, hanno i clienti principali spesso in prossimità dell’impresa stessa o al più nella stessa regione. La quota di fatturato attribuibile al cliente principale non risulta particolarmente influenzata dalla dimensione aziendale ma solo dall’appartenenza o meno al comparto artigiano. L’artigianato rileva una maggior dipendenza dal cliente principale, con quasi una quota doppia di imprese che ricavano più del 75% del fatturato dal cliente principale (8,0%) rispetto all’industria (4,7%). Anche relativamente alla dimensione del cliente principale, industria ed artigianato mostrano risultati differenti: se per l’industria il cliente principale è più spesso una grande impresa con oltre 250 addetti (44,2%), per l’artigianato è più spesso una micro/piccola impresa fino a 50 addetti (53,4%).

Quanto rilevato per i clienti principali è riscontrabile anche per i fornitori/subfornitori principali, con supply chain locali per l’artigianato ed a più ampio raggio per l’industria. Le imprese artigiane mostrano un legame più forte con il fornitore/subfornitore principale, con una quota di acquisti superiore al 25% nel 44,1% dei casi contro il 33,5% dei casi
dell’industria.

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